Ganimede, il sommelier del vino Cecubo

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Ganimede, il coppiere dell’Olimpo, veglia ancora oggi sulle terre del vino Cecubo a Sperlonga

Il più antico sommelier veniva dalla Frigia e versava il nettare agli dèi.

“Ci fu una volta che il re degli dei s’infiammò d’amore per il frigio Ganimede, ed ebbe l’idea di trasformarsi in una cosa che, una volta tanto, gli parve più bella che essere Giove: un uccello. Ma, fra tutti gli uccelli, non si degnò di trasformarsi che in quello capace di portare i fulmini, le armi sue. Detto fatto: battendo l’aria con false penne, rapì il giovinetto della stirpe di Ilio, che tuttora gli riempie i calici e gli serve il nettare, con rabbia di Giunone”.

(Ovidio, metamorfosi, X, 155-161)

C’è una statua che veglia sulle terre del vino Cecubo a Sperlonga.
È Ganimede, il coppiere degli dèi, e la sua figura svetta sulla grotta di Tiberio.

Era qui, nella Villa che era stata del bisnonno Aufidio, che l’imperatore romano Tiberio trascorreva le sue vacanze estive.
E fu proprio Tiberio a decidere di collocare lì il mitologico coppiere. Aveva il compito di vegliare sulla testa degli ospiti che lui usava intrattenere con i racconti di Omero e il delizioso vino Cecubo tipico di queste terre.

Potremmo dire che Ganimede fu il più antico e famoso sommelier di tutti i tempi.
Come tutti i coppieri doveva assaggiare la bevanda prima di servirla nei calici delle divinità dell’Olimpo.
In epoca romana i coppieri erano persone di estrema fiducia, alle quali gli imperatori e i politici più in vista affidavano la loro sicurezza. Il rischio era che qualcuno li avvelenasse!

Ganimede a dire il vero non fu scelto per il suo curriculum da sommelier. Aveva un pregio che lo aveva fatto balzare in cima alla lista dei candidati: era dannatamente bellissimo.
Anche se il posto non era vacante (c’era già Ebe, dopotutto, che serviva gli dèi) e Ganimede era un semplice mortale, dunque, lo ottenne.

La verità era che Giove se ne era innamorato perdutamente. Si era trasformato in aquila e lo aveva rapito, proprio, dice la leggenda, nei pressi di una grotta, simile a quella di Sperlonga.

Al coppiere frigio non era chiesto di servire un vino qualsiasi. Per gli dèi, il vino della casa era il nettare divino: una bevanda alcolica realizzata con la fermentazione del miele. Il famoso nettare degli dèi, appunto.

L’imperatore Tiberio conosceva bene e adorava questa storia, come tutte le storie raccontate nell’Iliade e nell’Odissea.
Ordinò agli scultori di Rodi di realizzare un’opera che ritraesse il rapimento di Ganimede da parte di Zeus.
Una volta terminata, la posizionò sopra la grotta che tanto amava.
Il coppiere Ganimede, così, avrebbe vegliato sulla sua Villa, sui terreni ricchi di coltivazioni, e sui vigneti dai quali si estraeva l’uva per la realizzazione del vino Cecubo, il vino preferito dagli antichi romani. Al punto da essere riservato al brindisi finale nei banchetti.

Ancora oggi una copia di quell’opera è collocata nella stessa posizione in cui si trovava l’originale, custodita invece all’interno del Museo Archeologico di Sperlonga.

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